Noi sappiamo chi è Stato

Sull’inizio del processo civile per la morte di Renato Biagetti.

Martedì 18 novembre è fissata la prima udienza del processo civile per la morte di Renato Biagetti, ucciso all’uscita di una dance hall reggae la notte tra il 26 e il 27 agosto del 2006 da due giovani ragazzi di estrema destra. Inizia quindi una nuova fase processuale che, per quanto non ci restituirà ciò che quella notte ci è stato sottratto con 9 coltellate, crediamo sia importante seguire e raccontare.

La scelta dei legali della famiglia Biagetti, che hanno già seguito tutto il processo penale, è stata quella di citare in giudizio oltre ai due responsabili materiali dell’omicidio di Renato anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui viene richiesto il pagamento dei risarcimenti dovuti a Stefania e Dario, sulla base della responsabilità della Presidenza del Consiglio derivante dalla mancata attuazione e dal mancato recepimento da parte dello Stato italiano della direttiva comunitaria 2004/80/CE del 29 aprile 2004 “relativa all’indennizzo delle vittime di reato”.

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Infatti le vittime di un reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito.

La direttiva comunitaria citata obbliga gli Stati membri dell’Unione europea a istituire un sistema di indennizzo equo ed adeguato in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, da attivare quando il risarcimento diretto nei confronti dell’autore del reato sia impossibile o eccessivamente difficoltoso.

L’Italia per quanto riguarda questa direttiva non ha provveduto a introdurre un sistema siffatto di indennizzo, per cui a seguito dell’apertura di una procedura di infrazione, è stata dichiarata inadempiente rispetto a tali obblighi comunitari.

Noi tutti ci siamo chiesti cosa significasse chiamare in causa lo Stato in occasione di reati violenti come quello che ha portato alla morte di Renato. Il linguaggio degli avvocati richiama una responsabilità dello Stato derivante dalla non attuazione di una Direttiva comunitaria.

Noi vogliamo richiamare oltre a questo una responsabilità più alta dello Stato nell’accadimento di questi delitti violenti. Vogliamo sottolineare la responsabilità dello Stato nel creare le condizioni sociali e culturali perché questi omicidi avvengano.

Uno Stato che favorisce la cultura della paura, piuttosto che quella del rispetto delle diversità, favorisce il nascere del sentimento di odio che porta ad uccidere. Ogni omicidio può essere considerato un omicidio di stato, sia quando arma la mano di giovani, alimentati da ideologie razziste, omofobe, sia quando arma la mano dei suoi rappresentanti ( polizia, carabinieri, guardie carcerarie, …) che dovrebbero essere preposti alla difesa dei cittadini in qualunque luogo o situazione essi si trovino.

Recentemente nella vicenda del ragazzo di 17 anni che ha ucciso a calci e pugni Khan Muhammad Shahzad pakistano di 40 anni, è stato incriminato anche il padre che lo incitava dal balcone a picchiare e ad uccidere. Lo Stato oggi, con i suoi atteggiamenti tolleranti verso compagini razziste, naziste ed omofobe, attento difensore dell’impunibilità dei suoi rappresentanti è come questo padre. Responsabile.

E’ per questo che, come sempre, vogliamo ricordare la storia di Renato insieme a quella di Stefano, di Federico, di Carlo, di Dax e di tutti coloro che hanno incontrato una mano e una testa alimentati da sottoculture del disprezzo, del razzismo, dall’odio e da rinnovati fascismi.

Rinnovati atteggiamenti di mentalità fascista e violenta, come quelli che stanno prendendo piede in questi mesi in molti quartieri romani e non solo, dove, spalleggiati da rappresentanti di partiti istituzionali e neofascisti che soffiano sul fuoco dell’intolleranza, della crisi, della rabbia sociale, prosperano improvvisati comitati contro il degrado e si moltiplicano episodi di razzismo.

Crediamo che sia importante schierarsi ancora una volta contro questa barbarie e respingere al mittente le provocazioni di questi gruppi

Crediamo che gran parte della responsabilità di quanto stia accadendo oggi derivi dalla colpevole scelta di mantenere e distribuire nelle estreme periferie l’emergenza, privatizzando o annullando di fatto i servizi essenziali, praticando, insieme a migliaia di sfratti, un preciso disegno di emarginazione e marginalizzazione di moltissimi cittadini.

Per questo come sempre abbiamo fatto in questi anni, con Renato nel cuore, continueremo a contrastare questo sistema nei territori oltre che nelle aule di tribunale.

 

Comitato Madri per Roma Città Aperta

I compagni e le compagne di Renato

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