Giunti ormai al settimo anno del ciclo di crisi economica apertosi con la falla nel mercato del credito americano, i processi di ristrutturazione avviati nel Vecchio continente si stanno dispiegando tanto sul terreno della produzione, del mercato del lavoro e del welfare, quanto su quello della politica.
Con la transizione dal ventennio berlusconiano al governo delle larghe intese guidato da Matteo Renzi, il paese si è lasciato alle spalle non solo qualsiasi opzione rappresentativa a sinistra, in grado di proporre una rottura del quadro istituzionale all’altezza della sfida che il sistema della Troika e la Bce hanno lanciato ai diritti dei precarizzati e degli indebitati. A mutare radicalmente è stato anche il fronte della destra, con la frammentazione del Pdl e con le varie componenti della vecchia maggioranza berlusconiana in competizione per raccoglierne l’eredità.
In questo quadro, la mutazione più sorprendente è stata certamente quella della Lega Nord, che in maniera inquietante è riuscita a superare gli scandali interne delle appropriazioni dei fondi di partito da parte dei ras di Umberto Bossi, le inchieste antimafia che hanno coinvolto i notabili locali del partito, le lotte intestine per la successione, arrivando ad accreditarsi come unica possibile alternativa di governo al Pd renziano.
L’aspetto più inquietante è certamente dovuto alla svolta in senso radicale che ha impresso al partito la segreteria di Matteo Salvini: presenzialista, dinamico, ma soprattutto tremendamente xenofobo ex leader dell’organizzazione giovanile della Lega, assurto alla notorietà nazionale nel 2009 per i cori contro i napoletani lanciati alla festa nazionale del partito.
Quella che sembrava una scelta tattica per uscire dal pantano degli scandali e dall’emorragia di voti anche nelle tradizionali enclaves leghiste segnalata alle elezioni politiche del 2013 (poco più del 4% in entrambe le Camere) si è rivelata una manovra strategicamente azzeccatissima, che ha portato la Lega Nord ad affiancarsi alle altre forze di estrema destra che in buona parte dell’Unione Europea si candidano a rappresentare il rancore identitario degli impoveriti e dei precari: Marine Le Pen ed Alba Dorata sono certamente gli esempi più noti, ma nessun paese comunitario è attualmente immune dalle suggestioni ultranazionaliste e xenofobe. Le ragioni sono le più disparate: dalla preferenza nazionale, se non locale, per la redistribuzione delle pochissime risorse, all’islamofobia malcelata da difesa degli ideali liberaldemocratici, soprattutto in quei paesi dove più che la crisi a mordere sono le contraddizioni delle politiche migratorie o l’eredità coloniale. Contraddizioni entrate drammaticamente nell’agenda internazionale con l’opzione politico-confessionale dell’Isis che offre sponda all’insoddisfazione di milioni di cittadini di origine extraeuropea o ai migranti discriminati. Un’opzione a nostro avviso simmetrica al neofascismo che millanta di rappresentare un argine all’avanzata del Califfato confondendone volutamente le conseguenze (la fuga di migliaia di persone dall’ennesima guerra alle frontiere d’Europa) con il problema.
In questo quadro, le probabilità che sia l’Italia il primo paese comunitario, dopo l’Ungheria ormai da anni governata da un’asse nazionalista-xenofoba, a cedere alle suggestioni neofasciste diventano sempre più alte. Non solo Casapound si è accreditata come referente per l’apertura al centro-sud delle aspirazioni elettorali della Lega, e lo ha fatto gettando per mesi benzina sul fuoco dell’intolleranza xenofoba, ponendosi a referente per le campagne contro i campi nomadi, i centri di accoglienza per rifugiati e proseguendo le aggressioni ai danni degli antifascisti. Anche Fratelli d’Italia è entrata ormai nell’orbita del secondo Matteo d’Italia, offrendogli un consistente bacino di voti e quadri locali in grado di amplificare le iniziative leghiste, elemento di cui la nuova Lega è evidentemente carente.
In rete con le altre forze neofasciste, la Lega sta costruendo un vero e proprio polo antieuropeista e xenofobo, che non flirta solo a Bruxelles e Strasburgo, ma già coordina piazze e meeting nel nostro paese. Nel dicembre 2014, una nutrita truppa di fascisteria euroscettica (dal Front National a Geert Wilders, dall’erede di Heider, Strache, al Vlaams Belang) aveva già animato il congresso federale della Lega a Torino. Nei prossimi mesi lo stesso cartello si propone una manifestazione europea a Roma.
Il progetto leghista di Matteo Salvini, sostenuto da una consistente fetta di popolazione che fa volentieri mostra delle proprie inclinazioni xenofobe e violentemente fasciste (basta avere lo stomaco per seguire le pagine social del leader, un circo dell’orrore ben tollerato dai responsabili della comunicazione di Salvini), ha già tuttavia dimostrato di essere anche sufficientemente affidabile per proseguire le politiche di ristrutturazione economica portate avanti negli anni al governo. Gli slogan autonomisti mal celano il desiderio di tagliare sempre più risorse per i servizi collettivi, di costruire gerarchizzazioni territoriali e preferenze locali per la redistribuzione delle risorse. Non stiamo nemmeno più parlando di una guerra fra poveri, ma di una vera e propria guerra dei territori ricchi contro quelli più in difficoltà, che si vedranno costretti a svendersi e ridurre i propri margini di spesa per favorire la circolazione di capitale altrui e le privatizzazioni. Una spirale dell’impoverimento che da decenni sta già devastando i territori e costringendo alla migrazione centinaia di migliaia di giovani disoccupati. Nonostante i tentativi di colonizzare il consenso del meridione, “Prima il Nord” è ancora lo slogan che giganteggia sulle pareti della sede nazionale di via Bellerio a Milano.
Da qui però è possibile ripartire, agire i margini di manovra che ci vengono offerti da questa campagna della Lega per un accreditamento come forza politica di livello nazionale. L’appuntamento del 28 febbraio “Renzi vattene” è stato già preceduto da alcune iniziative nel centro-sud che non hanno evidentemente riscosso molto successo: le contestazioni a L’Aquila, le uova e gli ortaggi a Palermo, ma anche la diffusione della campagna #MaiConSalvini ci dimostrano che si può puntare a sabotare il progetto politico leghista. Gli organizzatori sono già in fibrillazione e sparano minacce e numeri a casaccio. Anche la Questura di Roma ha lasciato la palla al Ministero dell’Interno. Segnale che aver coinvolto un fronte ampio di attivisti, reti sociali, figure del mondo della cultura e dello spettacolo nella campagna sta dando i suoi frutti, permettendoci di provare a guardare al 28 febbraio e alle giornate che lo precedono come un laboratorio aperto di pratiche di lotta, niente affatto residuale o identitario, come raramente si era riusciti a fare sul terreno dell’antifascismo.
Dobbiamo dimostrare che Salvini non è il benvenuto in quei territori che per anni il suo partito ha insultato e disprezzato e che oggi vuole sacrificare sull’altare delle ristrutturazioni neoliberiste rendendo in cambio solo un po’ di odio a buon mercato. Dobbiamo dimostrare che la proposta politica è quella di riproporre, in altre forme, vetusti meccanismi che nei comitati anti-degrado nelle periferia di Roma (peraltro implosi dopo i fatti di mafia capitale), promuovono logiche di segregazione sfruttando quella marginalità sociale che loro stessi hanno contribuito a creare. Dobbiamo tuttavia essere anche consapevoli che c’è anche chi, come Renzi e il resto della governance europea, intende giocare con il fuoco del fascismo, utilizzandolo come spauracchio per legittimare le forze politiche fedeli al sistema della Troika e ai ricatti della Bce. Per questo il 28 assume ancora di più una valenza fondamentale: una giornata di mobilitazione costruita dal basso, in maniera aperta, di carattere cittadino, ma di respiro europeo, che per noi è in diretta continuità con le campagne contro il Jobs Act, lo Sblocca Italia e con le mobilitazioni di Francoforte di marzo. Il nostro scopo è costruire a sinistra, nelle lotte, uno spazio critico e alternativo al capitalismo selvaggio della Bce e alla demagogia identitaria di Salvini e del suo carrozzone neofascista.
Laboratorio Acrobax – Alexis Occupato: Indicom, Indipendenti per il Comune