Dopo qualche giorno dal 1° maggio, prendiamo parola e lo facciamo a seguito di una condivisione collettiva della piazza milanese a cui, con determinazione, abbiamo partecipato. Una mobilitazione ricca e condivisa da migliaia di persone, frutto di un lavoro lungo e approfondito che i compagni di attitudine no expo – alcuni peraltro di vecchia data e di cui non abbiamo mai dubitato della generosità nell’incentivare percorsi di lotta virtuosi – hanno svolto nei propri territori e in lungo e in largo per tutta Italia. Nei loro occhi in questi mesi abbiamo visto la generosità, umana e politica, di chi prova a mettere a disposizione una data in un percorso più ampio e nell’ottica della collettività di tutti e per tutti.
Il grande e cospicuo lavoro della rete Attitudine No Expo ha fatto sì che sfilassero più di 30.000 mila persone. Un lavoro a partire dall’apertura dei territori, dove la sinergia tra i veri agricoltori a km zero si è fusa con le vertenze antispeciste e dove i ragionamenti sul lavoro gratuito e sull’economia della promessa – a cui i 18.500 volontari di expo stanno, purtroppo, credendo – si sono fusi con le tante esperienze che i movimenti per il diritto all’abitare stanno producendo a livello nazionale. Partiamo, quindi, dall’assunto che per noi questa pluralità di convergenze e istanze di lotta è una ricchezza che va coltivata, va preservata, va nutrita con intelligenza e responsabilità collettiva.
E’ inutile fare una ricostruzione in cui molti, sia nel movimento che dai pulpiti dei media mainstream, si sono già cimentati a fare; ci interessa, invece, riflettere su quelle che sono i risultati politici prodotti da quella giornata.
Due giorni dopo il primo maggio una manifestazione capeggiata da Pisapia, ha sfilato per Milano, non facendo altro che far regredire e diluire i contenuti della Mayday Noexpo, dando sponda a quell’attivazione di piazza che Renzi non avrebbe potuto immaginare o sperare. L’Expo2015 ha, così, trovato i suoi attivisti che si sono assunti la responsabilità di dare corpo a quello che fino ad oggi era rimasto solo nel virtuale dei social network. E alla 20.000 persone che hanno partecipato alla manifestazione di Pisapia, la cui chiave elettoralistica è chiaramente intellegibile, verrebbe da chiedere dove eravate quando Klodian, a soli 21 anni, è morto cadendo da un ponteggio dell’Expo? Dove eravate quando il 23 Luglio 2013 CGIL CISL e UIL hanno firmato l’infame accordo con Expo2015 SpA accettando di “ratificare, per la prima volta nel diritto del lavoro, il ricorso al lavoro gratuito” affossando definitivamente il futuro di migliaia di giovani? Dove eravate quando la Rete No Expo denunciava la gestione mafiosa ed affaristica dei finanziamenti pubblici?
Ma una cosa la dobbiamo dire con chiarezza, quando c’è spazio per la protesta della “maggioranza silenziosa”, significa che ci sono ancora molti vuoti da colmare da parte delle forze anticapitaliste, e quei vuoti vengono riempiti da opzioni conservatrici, quando non apertamente reazionarie.
Parlando di risultati, quindi, quello che rimane è un partito della paura, che sventola lo spauracchio dei “black bloc” e di “duri scontri” per celare l’ipocrisia di una città saccheggiata nella terra, nei diritti, nella dignità e nelle casse. Pensi anche a questo Pisapia quando sceglierà se ricandidarsi o meno, perché le bolle mediatiche sugli scontri si sgonfieranno, mentre la gestione mafiosa, il cemento, i debiti e la precarietà generata da Expo2015 rimarranno come fondamenta dell’area metropolitana di Milano e come caposaldo del nuovo reparto di geriatria che il ducetto Renzi sta costruendo.
E proprio a questo punto siamo fermi da almeno 7 anni, inizio della crisi, in cui una larghissima parte del tessuto sociale italiano rimane assuefatto a galleggiare, pronto a rincorrere la schiavitù di Expo con la promessa di conquistare un lavoro qualsiasi, e a guardare Renzi che riscrive l’inno (e la costituzione) italiana dichiarando la fine del capitalismo di relazione e inneggiando a quello ugualmente spietato e freddo delle meritocrazie multinazionali e della precarietà senza diritti e reti di salvataggio. Neanche quelle famigliari.
Conflitto senza o contro il consenso?
In questo contesto, da mesi una larga rete si è mobilitata, riuscendo ad organizzarsi, a prendere parola e costruire visibilità su queste tematiche, provando a costruire una complessa analisi di un altrettanto complesso e paradigmatico passaggio rappresentato da Expo.
E qui viene il bello. A che serve discutere e confrontarsi, trovare un terreno comune e provare a incentivare meccanismi di connessione? A che serve, se tanto l’orizzonte è rappresentato dalla morte del capitalismo o dalla vita specchiata in cui, comunque, vale la regola del più spregiudicato? Addirittura dove un gesto, a discapito delle parole e dei pensieri, diviene l’asticella sotto la quale si diventa inutili, riformisti se non direttamente pericolosi nemici?
In una gara costante a chi “ce l’ha più lungo”, noi tranquillamente rifiutiamo l’ansia da prestazione e né abbiamo voglia di dimostrare le nostre capacità. Chi ci ha conosciuto lo sa, chi sarà curioso lo scoprirà. Tutto il resto è, semplicemente, la parte peggiore di quello che qualcuno ha definito porno-riot ovvero pura estetica della distruzione.
Nel nostro agire politico, sia chiaro, le rotture sono considerate più che lecite, a patto però, che esse producano un reale grado di avanzamento nella lotta di classe, incanalando rabbia e conflitto in termini affermativi, creando consenso e processualità nei movimenti. La strategia di contenimento attuata dalla governance a Milano il 1° maggio è stata utile, peraltro, a riabilitare le forze dell’ordine elogiate per la “gestione oculata della situazione” dopo la condanna della Corte europea per le torture realizzate a Genova 2001.
La giornata milanese, quindi, pone o ri-propone una vecchia questione sull’egemonia e sul consenso, oltre che, chiaramente, sulle pratiche. E ci sembra che la lezione, di gramsciana memoria, sia interpretata nel peggiore dei modi, per cui si fraintende la propria visibilità e la propria sovra-determinazione come un’opzione che convince. Se addirittura “la visibilità si conquista a spinta” a scapito di chi è al nostro fianco nelle lotte, anche radicali, a fianco, per mesi, nei processi decisionali, si produce un paradossale rovesciamento in cui l’alleato diventa lo sciacallo giornalistico. E in questo paradosso, il processo decisionale collettivo diviene un ostacolo sulla via della rivoluzione.
Il risultato finale, che prima o poi consigliamo di valutare con occhio distaccato e critico, è che il movimento è spaccato e il resto della prateria a cui si pretende parlare rimane, ancora una volta, in secondo piano.
Quindi la questione di consenso posta a Milano, non è tanto riscontrabile in quello mancante della società civile che i media mainstream prontamente strombazzano, ma quello contro cui ci si è attivati.
E’, infatti, con quel consenso minimo costruito in mesi di assemblee di movimento con cui si dovrebbe far i conti. In questo paradosso (o miseria?) quella dicotomia tra morte e vita, posta ad esempio da Berardi Bifo, diviene inutile e novecentesca quanto sfilare per diritti e costituzione, perché è un gioco a somma zero.
La pentola a pressione (pratiche e conflitto)
E lungi da noi aver trovato una qualche risposta, continuiamo a trovare, invece, molte domande.
Una delle prime riguarda le pratiche e il loro senso politico nella volontà di costruire movimento per il conflitto e la trasformazione. A tal proposito, ci interroghiamo da ormai diverso tempo, sul perché si continuano a costruire pentole a pressione in cui nessuno è comodo per scegliere le pratiche che preferisce.
Perché non pensare, come avviene sempre più frequentemente nelle esperienze più virtuose in Italia e in Europa, a lavorare per costruire un piano politico trasversale sui contenuti, che possa rappresentare ed essere condiviso come piano politico e sociale, riconoscendo cittadinanza a tutte le pratiche conflittuali? Perché non superare noi stessi in primis la divisione in “buoni” e “cattivi” scegliendo di costruire momenti differenziati in cui tutti, in un verso o nell’altro, siano costretti a confrontarsi per non sfuggire alle proprie responsabilità politiche?
E’ per noi necessario sprovincializzare l’Italia per connettersi ai movimenti e alle reti internazionali, costruendo spazi transnazionali di opposizione all’austerity, così come avvenuto a Francoforte nella giornata di mobilitazione di Blockupy durante i blocchi e la manifestazione contro l’inaugurazione della nuova sede della BCE. Per questo come Scioperiamo Expo ci siamo diretti verso la sede dell’Unione europea, con l’obiettivo di denunciare la violenza delle politiche di austerity imposte dalla Troika.
Probabilmente se riuscissimo ad evitare alibi del “troppo violento o troppo poco”, riusciremmo anche a costruire un processo politico centrato sui contenuti, da animare con differenti attitudini e senza agitare retoriche schermaglie. Avere il coraggio di intraprendere scelte in una chiara composizione politica di classe, a partire anche da questo.
Scioperiamo Expo
Dunque torniamo dall’esperienza milanese con la convinzione che un difficile lavoro ci attende e, ammettiamolo, con un discreto amaro in bocca. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che la rabbia sociale è solo uno dei parametri e spesso, purtroppo, è anche inesatto.
Sappiamo che molto si sarebbe dovuto fare, innanzitutto sul piano del lavoro precario e volontario, ma che, noi per primi, non abbiamo avuto la capacità di portare avanti fino in fondo. Eppure sappiamo che il paradigma di Expo è il paradigma – anche quello del controllo – con cui ci confronteremo da oggi in poi. A noi la capacità di intraprendere un percorso ambizioso, che non solo punti ad incendiare quella prateria, ma a costruire quella vita che vorremo contrapposta alla morte del capitalismo. Una vita che non vogliamo riempire di feticci, ma riempire di capacità attiva all’insubordinazione così come di riappropriazione di spazi decisionali diretti, oltre che alla costruzione di cooperazione sociale.
Non è più il momento di dare lezioni ma di imparare a costruire una sfera orizzontale che sappia produrre, a partire da quello e senza scorciatoie (tanto meno di tipo elettorale), eventuali verticalizzazioni.
Noi, nel nostro piccolo e per quel che valiamo in questa fase di movimento difficile, complicata e pesante, abbiamo deciso di aderire e portare il nostro contributo allo spezzone Scioperiamo Expo, insieme agli attivisti dei laboratori dello Sciopero Sociale. E lo abbiamo fatto perché da mesi, insieme a tante altre realtà nel territorio nazionale e reti internazionali stiamo cercando di ri-significare la pratica dello sciopero che in questa fase storica vediamo praticabile solo nelle forme di uno “sciopero sociale”. Ovvero un assioma linguistico in cui “la parola sciopero sottintende il fatto che è di forza di produzione di lavoro (precario se non addirittura gratuito) di cui stiamo parlando, mentre sociale implica che sono tutti gli aspetti ed ambiti della vita ad esserne coinvolti rendendo la condizione precaria l’elemento dirimente dello stesso sciopero”.
Uno “scioperiamo Expo” che allude ad uno sciopero dentro e contro la precarietà, contro lo sfruttamento intensivo, il business della disoccupazione giovanile (Garanzia Giovani) e la codificazione del lavoro gratuito imposta dai sindacati concertativi. Uno sciopero transnazionale, che blocchi realmente i flussi produttivi, contro tutte quelle forme plurali di lavoro gratuito che nell’era del capitalismo cognitivo siamo costretti a subire. Uno sciopero contro quel dovere imposto di mostrarsi sempre disponibili, flessibili e occupabili a costo zero come se fosse meglio essere schiavi a termine piuttosto che poveri senza un futuro e prospettive.
Noi scegliamo questo processo per costruire quei terreni comuni, di sperimentazione e confronto, uno spazio collettivo e sociale che sappia essere spazio politico, senza dover azzerare le differenze in un supposto soggetto politico.
Il nostro modo per continuare la nostra attitudine NoExpo.
Il nostro modo per affrontare un modello provando a costruire un tempo da battere, che sappiamo né veloce né immediato, ma che sia nostro.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli attivisti arrestati, nessuno deve rimanere da solo, soprattutto in un momento in cui vengono richieste “condanne esemplari”, insistendo sull’infame reato di “devastazione e saccheggio”. Tutti Liberi/e.
Indicom – Indipendenti per il comune: Laboratorio Acrobax, Alexis Occupato
in ogni città, #scioperariamoexpo per fermare la piovra.
Il Primo Maggio ha inizio Expo2015, l’Esposizione universale di Milano. L’evento per cui si sono battuti i sindaci Moratti e Pisapia, fingendo di trovarvi una soluzione per i dissesti economici dell’amministrazione comunale. A poco più di un mese dalla data di inaugurazione, pare che solo il 18% del cantiere su cui sorgeranno i padiglioni della fiera sia completato e già si studiano dei sistemi per occultare le parti non concluse.
Expo e i suoi effetti
Ma cos’è Expo? Dietro all’altisonante e toccante slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita” si nascondono tutti i tentacoli del mostro, un grande evento che rappresenta lo scudo comunicativo e giuridico con il quale introdurre leggi speciali e provvedimenti eccezionali:
Nella società
– Sciacallaggio e privatizzazione del settore pubblico a spese della cittadinanza tramite la costituzione di società private a capitale pubblico come Aerexpo spa e Expo spa. La prima nata per eseguire la compravendita di un terreno privato ad uso agricolo divenuto poi magicamente edificabile e la seconda creata invece per gestire e seguire la realizzazione dell’evento. Società come queste o quelle che stanno dietro la costruzione del reticolo autostradale di Teem e Brebemi, si sono poi rivelate veri e propri buchi neri generatori di debito e sono riuscite a inghiottire milioni di euro di finanziamenti e contributi pubblici.
Alla speculazione si sono aggiunti scandali, tangenti, inchieste per infiltrazioni mafiose e appalti truccati, azioni criminose che trovano terreno fertile nel paese dello sfruttamento intensivo del suolo e dell’edilizia “facile”.
Nel mondo del lavoro e della formazione
– Nuove forme di lavoro atipico e deroghe al patto di stabilità tramite accordi con i sindacali confederali. Expo è il banco di prova del Jobs Act di Renzi, ovvero la svendita dei diritti e la liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro tramite la possibilità di rinnovare a dismisura il tempo determinato (nel Jobs Act fino a 3 anni senza obbligo di assunzione), l’abbassamento della percentuale di assunzione obbligatoria legata all’apprendistato, la mancanza totale di processi di formazione e la misera remunerazione per chi lavora in regime di stage e l’istituzionalizzazione del lavoro non retribuito per Expo. Il lavoro diventa infima merce di scambio, se gratuito ancora meglio. Aggressiva la campagna pubblicitaria innescata da Manpower per reclutare disoccupati, inoccupati e studenti nelle scuole superiori e nelle università, pronti a sacrificarsi in cambio di una voce “prestigiosa” sul proprio curriculm. Una battaglia, quella contro il lavoro volontario e gratuito, combattuta sul terreno di un mondo della formazione sempre più svilito dalle politiche di privatizzazione ed aziendalizzazione di cui il nuovo governo si è fatto convinto alfiere.
Esempio emblematico delle politiche sul lavoro è la proposta di “Garanzia Giovani”, un progetto di respiro europeo, che dovrebbe essere la risposta alla disoccupazione giovanile nei paesi in cui il tasso supera il 22%, e che quindi dovrebbe permettere e incentivare l’assunzione dei NEET (giovani Not in Education, Employment or Training) da parte di aziende private e non, sotto forma di apprendistato o “working experience”, ma la cui attuazione non sta avendo i risultati sperati. Spesso infatti, le aziende che assumono, dispongono dei finanziamenti europei a proprio piacimento senza alcuna reale garanzia di stabilizzazione dei rapporti di lavoro.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che i sindacati, avendo stipulato speciali protocolli di intenti con Expo, si sono impegnati a fare in modo che in quel periodo dell’anno tutto fili liscio, ovvero che i lavoratori di Expo già privati di molti diritti, non avranno neppure quello basilare di poter scioperare…
Sui territori
– Cementificazione e deroga a qualsiasi piano regolatore, espressione concreta del disinteresse verso l’ambiente e il territorio. Per Expo sono stati ribaltati interi quartieri, come quello dell’Isola, uno dei cuori popolari di Milano, e si è anche tentato di sventrare i più grandi parchi cittadini, come il parco di Trenno e il parco delle Cave, tentativi bloccati dal fiero e forte intervento dei coordinamenti di quartiere (No Canal) esempio vincente dell’attivazione contro Expo e contro le sue articolazioni locali. L’edilizia impera come maggior “motore di sviluppo”, mentre è ormai risaputo che questo settore non garantisce crescita a lungo termine, non rappresenta un beneficio per tutta la popolazione (i proventi che ne derivano sono spartiti dal settore imprenditoriale, cooperative edilizie, palazzinari e speculatori del mattone) e codifica l’immagine della città come una successione di vuoti da riempire e pieni da ribaltare nel nome della città vetrina a discapito della memoria, della storia e della vivibilità dei quartieri.
Nell’immaginario (con l’aiuto delle multinazionali…)
I tentacoli di Expo non si sono fermati al governo del territorio metropolitano e nazionale. Expo ha anche cercato di tingersi di rosa e di verde, ovvero di legittimare la propria esistenza accostandosi a temi “alternativi”. Ci ha provato lanciando diverse campagne volte ad aprirsi alla popolazione omosessuale e alle donne.
“Women for Expo” e la progettazione della Gay street sono questo. Nel primo caso il tentativo di rievocare lo stereotipo di donna nutrice riadattandolo allo scenario attuale, una specie di ritorno alla tradizione in cui le donne non dovrebbero risultare sottomesse, ma degnamente riconosciute e fiere del loro unico ruolo (imposto e socialmente definito) di angeli del focolare e padrone della casa. Nel secondo caso invece lo scopo sembra essere quello di ghettizzare e soprattutto monetizzare una fetta di mercato fin’ora non valorizzata. Quando la persona omossessuale è un uomo, bianco, ricco e possibilmente occidentale, deve essere prevista una zona ad hoc per i suoi bisogni e le sue necessità, rivelando così l’intenzione reale: quella di drenare risorse da uno specifico tipo di portafoglio… Questo tentativo per altro non è andato a buon fine, e Expo svela il suo vero volto patrocinando i convegni omofobi ma non il progetto di gay street né il Gay pride che si svolgerà durante l’esposizione.
Infine, l’annuncio della presenza di Coca-Cola e McDonalds nei padiglioni dell’Esposizione sono la definitiva prova del fallimento della “copertura verde” di Expo. Sono gli ultimi passi di uno scenario ridicolo già da tempo. Monsanto e altri colossi della produzione agricola-industriale già lasciavano poco spazio ad una rivendicazione seria del tema dell’esposizione. Più che nutrire il pianeta lo scopo sembra essere piuttosto quello di riempire le tasche degli azionisti delle multinazionali. Multinazionali che devastano il territorio con monoculture e agricolture intensive, lasciano sul lastrico i produttori locali mentre affamano le popolazioni locali e agevolano la diffusione sul mercato di cibo spazzatura per tutti e raffinati prodotti bio per pochissimi.
Un trio pericoloso: Expo, crisi & austerity
Di fatto Expo è l’incubatrice delle politiche che affronteremo nel prossimo futuro, Jobs Act e Sblocca Italia in testa. Il grande evento è il luogo dove sperimentare le nuove misure autoritarie e anti-democratiche e accumulare debiti, con i quali poi prorogare all’infinito i ricatti e l’austerity.
Expo è l’ennesimo esempio di uno scenario già visto in Grecia con le Olimpiadi di Atene ed altri grandi eventi in tutta Europa.
Ed è proprio l’Europa che deve diventare il nostro nuovo punto fondamentale e necessario di analisi e investimento politico.
L’uso dello stato d’emergenza tramite il ricatto dell’austerity e del debito pubblico fuori controllo, la gestione centralizzata in organismi non democraticamente legittimati, che si materializzano nei governi non eletti come in Italia prima con il governo Monti e poi con quello Renzi, la Bce o la Troika a livello europeo, sono forme di una nuova governance che è in corso già da tempo e continuerà sicuramente dentro e oltre Expo.
Questo è quello che è successo in Grecia: si parte dallo sfruttamento e dall’indebolimento del territorio e si arriva all’accumulazione di debito con lo sperpero di capitali pubblici. Crisi ed emergenza sembrano essere diventate a tutti gli effetti strutture di governo della nostra epoca. L’Unione Europea, poco Europa e molto unione economica (nonostante il tentativo di presentare un volto più umano della Troika, secondo le ultime dichiarazioni di Jean Claude Junker:” Dobbiamo dare all’ Europa una struttura dotata di maggiore legittimità democratica”), impone un modello di sviluppo che diventa arricchimento per pochi, finanziarizzazione dell’economia reale, sostegno di un sistema già fallito da tempo attraverso il regime di austerità, marginalizzazione della sfera euro-mediterranea attraverso politiche di rigore per paesi come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo, e l’impiego di misure di controllo dei confini come il Frontex o come i meccanismi di espulsione che mirano a tracciare una barriera tra Unione Europea e paesi come quelli nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo.
E’ l’Europa a chiedercelo.
Per noi le mobilitazioni verso/dentro/oltre Expo devono avere necessariamente un livello europeo di coordinamento e diffusione. Un livello che non riguarda solo i paesi dell’Unione, ma che vuole avere un respiro ampio e proporre una concezione differente di Europa.
Scioperare Expo significa definire la comune necessità del rifiuto delle nuove forme di sfruttamento, di precarietà e di lavoro atipico. Un rifiuto che riguardi sia il Workfare tedesco, forma di stato sociale subordinata alla continua e perpetua ricerca di lavori e mini-lavori che permettano l’accesso al salario minimo, che le riforme del Jobs Act italiano (ed altre riforme simili che hanno colpito l’Europa mediterranea), dove l’unica soluzione alla crisi pare essere la diminuzione dei diritti e dei salari dei lavoratori.
Scioperare Expo vuol dire costruire una dinamica di lotta comune capace di andare oltre al populismo dilagante che permette a partiti nazionalisti di destra di costruire campagne elettorali e programmi di governo basati sul rifiuto dell’Euro e dell’Europa e che, utilizzando il loro caratteristico vocabolario fatto di generica opposizione alla “casta” e rifiuto della politica, tentano di incarnare la rabbia di una cittadinanza in oggettivo stato di difficoltà.
A questo va aggiunta l’evidente deriva xenofoba dell’opinione pubblica europea, dalla Francia all’Italia, alla Germania alla Grecia, sono molte le formazioni politiche che dell’immigrazione e dei flussi migratori, della loro repressione, del loro controllo, fanno un unico punto di discussione sfociando sempre più spesso nel chiaro e semplice razzismo. Le primavere arabe e l’instabilità della zona mediorientale dettata dal sorgere dell’Isis stanno creando nuove pressioni migratorie a cui l’Unione Europea risponde solo con dispositivi militari e di repressione del fenomeno. Dall’area del Mediterraneo a quella del Centro Europa, per i movimenti diventa importante raccogliere la sfida e disarmare coloro che dall’odio del diverso ricavano la propria forza.
Scioperare Expo ci impone la necessità di fare un passo verso la costruzione di una piattaforma comune europea di alternativa politica e culturale.
L’Europa culla dei primi movimenti operai deve riuscire ad essere il territorio di rilancio della critica e della battaglia contro il nuovo sistema di produzione ed accumulazione di valore che il capitalismo ha creato sulla pelle dei nuovi sfruttati.
Per fare questo occorre trovare dei riferimenti comuni, un linguaggio comune, delle forme di lotta e di partecipazione comuni.
Per un Primo Maggio da ricordare
Crediamo fermamente che le politiche di austerità dettate dalla Troika e dai grandi dell’Europa siano un modo per relegarci alla condizione di sudditi.
Crediamo fermamente che il Grande Evento sia il momento estemporaneo ma eclatante in cui queste politiche possano attuarsi.
Crediamo fermamente che la crisi, se sfruttata da ideologie fasciste, naziste e razziste, possa diventare la miccia di una guerra fra poveri.
Per tradurre il nostro pensiero in pratica, e attaccare le strutture del potere invitiamo tutti e tutte ad unirsi a allo spezzone sociale,
#scioperiamoexpo
#connecttheEuropeanstruggles.
30 APRILE: CORTEO STUDENTESCO NAZIONALE e inizio del campeggio NoExpo
1 MAGGIO: #NOEXPOMAYDAY
2 MAGGIO: MOBILITAZIONI DIFFUSE CONTRO EXPO
3 MAGGIO: ASSEMBLEA PLENARIA GENERALE di lancio della mobilitazione per i 6 mesi di Expo
IL PRIMO MAGGIO 2015 TUTTI/E A MILANO #NOEXPOMAYDAY
MAYDAY, MAYDAY!
Da Milano ad Atene, da Istanbul a Kobane, da Berlino a Madrid, da New York a Melbourne since 1886, the Workers’ World Expo
Pubblichiamo il documento finale dell’assemblea nazionale NoExpo
Il 17 gennaio 2015, in una Milano che dopo aver ipocritamente pianto “l’attacco alla libertà di stampa” in Francia si prepara in termini repressivi ai 6 mesi dell’Expo, oltre 600 persone si sono ritrovate in uno spazio liberato in via Mascagni per ascoltare, discutere, confrontarsi, proporre. E’ il ricco universo di movimenti e comitati resistenti, precari e contadini in lotta per la riappropriazione del lavoro e della terra, territori che si oppongono alle grandi e piccole opere inutili e imposte, dall’Italia e non solo.
La varietà di contenuti dei workshop organizzati nella mattinata, la complessità e pluralità di dibattito, la voglia da parte di soggetti molto diversi di mettere in campo le proprie competenze, idee e strumenti: tutto questo per creare non una sterile opposizione al grande evento, bensì un moto che sappia cogliere le contraddizioni insite in Expo ben oltre le giornate di inaugurazione, perchè dietro la facciata della kermesse culturale e scientifica si nascondono meccanismi predatori e di sfruttamento e di normalizzazione generalizzato di esseri viventi, umani e non umani.
Esiste infatti una matrice ben identificabile dentro la mega-macchina del grande evento: riprenderla è utile per raccontare e analizzare le lotte nella loro specificità, ma anche per trovare quel modo uniforme di raccontarle, attraverso la loro materialità diretta e nascosta, da svelare, denunciare e abbattere.
I punti sono:
1. identificazione dei dispositivi predatori che operano sul territorio;
2. valutazione economica della sottrazione in atto (quantificazione);
3. narrazione della predazione subita e trasformazione in un senso di credito esigibile dalla collettività, umana e non.
4. riappropriazione del credito esigibile e quindi liberazione dei territori, degli animali e della natura tutta.
L’eterogeneità che ha caratterizzato la giornata è sicuramente elemento non residuale: il sistema Expo verrà messo in difficoltà proprio dalla capacità che abbiamo, come soggetti plurali, di mettere in campo proposte, modelli alternativi, pratiche conflittuali non autoreferenziali e volontà di mettersi in relazione.
La pluralità è visibile proprio nella quantità di contenuti affrontati all’interno dei differenti ws e nel dibattito finale. Questa è la prova che Expo non è solo un grande evento di interesse sia temporale (i 6 mesi) sia geografico (territorio metrolombardo), limitati. Parlare di Expo significa parlare di un nuovo sistema di governo del territorio, delle vite che a vario titolo lo riempiono e dello stato d’emergenza che diventa l’unica macchina decisionale, oltre i sempre più deboli meccanismi della democrazia rappresentativa. E investe ogni livello della vita quotidiana: dall’autodeterminazione di corpi e volontà alla definitiva precarizzazione nel mondo del lavoro, dalla svendita del patrimonio pubblico e del bene comune alla devastazione del territorio e dell’ecologia, dalla mercificazione delle sementi e dall’imposizione del sistema agroindustriale capitalistico a discapito di quello agricolo contadino, dalla svalutazione della proposta culturale resa un prodotto da commerciare al sostegno a Paesi che ancora oggi praticano l’apartheid come Israele.
Ed è qui che la struttura tentacolare di Expo cadrà a causa della sua stessa forza: laddove i tentacoli arrivano, è stata espressa la volontà di farsi trovare pronti ad accoglierli e reciderli. La scommessa sta nel riuscire a creare un livello reale di sinergia e mutualità, per arrivare insieme alla testa, bloccare i meccanismi messi in atto da questo mostro, svelandone il progetto e continuando ad allargare il fronte di chi non si ferma a dire no, ma sceglie un’attitudine che abbia come suo principio di base l’uguaglianza sociale.
Non ci nascondiamo dietro la complessità nel creare una piattaforma comune tra così tante voci, un immaginario di lotta condiviso. Non è facile, ma è tempo di tornare a farlo. L’orizzonte chiaro a tutti è che battaglia contro il modello-Expo non si esaurisce nelle centrali giornate di Maggio, ma si tratta di un percorso che avrà ancora lunga vita durante i sei mesi della manifestazione ed oltre: se l’Esposizione universale passerà, le sue ramificazioni e le sue drammatiche eredità in termini di debito, cemento, precarietà e sfruttamento rimarranno. Come NoExpo di Milano, Italia ed Europa, dalle città alle campagne, resisteremo sempre un minuto in più e continueremo quella lotta dai territori e in loro difesa, che invece i signori dell’Expo vorrebbero spolpare e desertificare.
Un orizzonte che non soffocherà il livello conflittuale che si vorrà tenere in quelle giornate: un conflitto radicale che non prescinde dal consenso e dalla legittimità che il Comitato No expo prima, e la Rete di Attitudine No expo poi, hanno acquisito e continuano ad acquisire con un lungo lavoro di contro-informazione e auto-organizzazione.
L’assemblea del 17 gennaio ha già rappresentato già di per sé un momento di quella piattaforme comune che da anni in Italia si sta costruendo e che ha visto altre sue tappe importanti negli incontri e nelle marce in Val di Susa, nei momenti di riappropriazione dei movimenti per l’abitare, nelle piazze arrabbiate del Sud contro la disoccupazione e l’avvelenamento dei territori, nei ricchi meeting che hanno preparato lo sciopero sociale e precario di novembre. Forme della politica e dell’organizzazione nuove, diverse da quelle istituzionali o tradizionali; ma se la Grande crisi, ormai sempre più permanente, ci ha insegnato qualcosa è che non possiamo più accontentarci delle risposte semplici o scontate, c’è bisogno di reinventarsi e ripartire da soluzioni e proposte nuove, ancora da creare. Noi abbiamo già cominciato, ci siamo già messi in marcia.
E’ da qui che proseguirà il percorso NoExpo e da qui lanciamo il nostro appello nazionale e internazionale per una grande mobilitazione permanente durante le giornate di Maggio.
30 aprile – 3 maggio: meeting internazionale NoExpo e per la riappropriazione dei territori
In particolare:
30 APRILE
CORTEO STUDENTESCO per unire le forze di studenti medi e universitari a livello nazionale e dimostrare l’opposizione al sistema Expo: contro legge Buona scuola e lavoro gratuito.
INIZIO CAMPEGGIO NOEXPO al cui interno si svolgeranno, anche durante i giorni di mobilitazione, iniziative ludiche e incontri politici e culturali
1 MAGGIO
Nel giorno dell’inaugurazione istituzionale dell’Esposizione universale, May Day Internazionale contro Expo – mega eventi – grandi opere – precarietà e sfruttamento
2 MAGGIO
Seconda giornata di mobilitazione cittadina e territoriale nel giorno di apertura al pubblico dei cancelli di Expo
3 MAGGIO
Conclusione del campeggio internazionale NoExpo e appello alle prossime mobilitazioni
Riportiamo, come migliore conclusione, il ricco calendario di iniziative comuni previste nei prossimi mesi: il nostro conto alla rovescia verso l’apertura dei cancelli di Expo.
24/01 Giornata per la sovranità alimentare, Genuino Clandestino contro Expo
Cremona, Manifestazione nazionale antifascista #EmilioResisti
27/01 Sentenza maxi processo contro No Tav
31/01 Val di Susa, appuntamento in Clarea
31/01 Giornata nazionale per il diritto all’Abitare
14/02 Peschiera del Garda, passeggiata al lago del Frassino che verrà tragliato dalla Tav
13-15/02 Roma, Strike meeting in vista del prossimo Sciopero sociale
21/02 Torino, corteo No Tav e No Expo
18/03 Francoforte, mobilitazione del movimento europeo Blockupy
24-26/4 Milano, Festival delle culture antifasciste per il 70° della Liberazione
30/04 Giornata studentesca No Expo a Milano
1-2/05 Giornate No Expo Milano
1-10/05 Sciopero astratto – Macao Sale Docks
Giugno No Expo Pride in opposizione al Pride sostenitore dell’Expo
Calendario e coordinamento comune, tour nazionale ed europeo, intensificarsi delle campagne di controinformazione, organizzazione ed agitazione sui territori: questi gli strumenti per scandire questi mesi finali verso Maggio.
L’attitudine NoExpo non è solo una rete metropolitana, non è solo un modo milanese di declinare la militanza politica: è la battaglia che parla anche di altre battaglie e altri fronti, nella reciprocità di forze e intelligenze. Per opporci ad Expo, Expo che fa male a tutti noi, smontiamo la narrazione tossica e facciamo male ad Expo.
Milano, 17 gennaio 2015
Assemblea nazionale NoExpo
fonte: http://www.noexpo.org/