Siamo le compagne e i compagni di Renato Biagetti, accoltellato a Focene da due giovanissimi neofascisti all’alba del 27 agosto 2006. Siamo le stesse persone che già nei mesi precedenti il suo omicidio, come attivisti dei movimenti sociali antifascisti romani, denunciavano il clima preoccupante che si respirava in città: il susseguirsi di intimidazioni squadriste, la cultura del coltello diffusa dall’estrema destra nelle strade e nelle curve capitoline, l’accondiscendenza con cui l’amministrazione comunale trattava le manifestazioni nostalgiche e le iniziative neofasciste. Leggendo le dichiarazioni di Walter Veltroni apparse su Repubblica, sulla necessità di mobilitarsi contro un generico rischio della tenuta democratica, non abbiamo potuto trattenere la rabbia e perciò scriviamo queste righe.
Le ricordiamo, ben poco caro Veltroni, che negli stessi mesi in cui Roma era teatro di continue iniziative neofasciste e di uno stillicidio di aggressioni a studenti, attivisti di sinistra e migranti, lei era anche sindaco della città. E in qualità di sindaco e primo segretario del PD ha sostenuto una precisa linea di neutralizzazione della memoria e della pratica politica antifascista sul territorio capitolino. A partire dalla decisa indicazione di rendere un magma indistinto l’intera storia del dopoguerra, ammucchiando dentro il vergognoso calderone della “violenza politica” le lotte sociali e civili degli anni Settanta con lo squadrismo e lo stragismo nero. Una pacificazione che, come può vedere, sul periodo nemmeno troppo lungo ha comportato una dispersione del patrimonio di cultura democratica e antifascista che garantiva, quella sì, la tenuta del tessuto sociale nei territori della città, la solidità dei principi di solidarietà e rispetto civile.
Ma lei, in quegli anni da sindaco, è riuscito ad andare ben oltre. Non solo ha fatto della storia recente del paese una pappa indistinguibile e indigesta, ma ha anche permesso alle organizzazioni neofasciste di radicarsi e prosperare, assegnando sedi e indulgendo sulle manifestazioni xenofobe che durante gli ultimi mesi del suo mandato imperversavano a Roma, arrivando a strumentalizzare l’omicidio di Giovanna Reggiani, come puntualmente ricostruito qui da Christian Raimo. E così, per citare forse il caso più eclatante, si è arrivati negli anni del suo mandato, all’assegnazione della sede di via Beverino ad associazioni come Foro753, in virtù dell’ordinanza n. 58 del 12 ottobre 2006, firmata dal suo assessore Claudio Minelli. Una comoda tana, dove per oltre un decennio sono state organizzate attività formative per militanti neofascisti, iniziative revisioniste e meeting politici. Chiudere Foro 753 fu l’unica richiesta di Stefania Zuccari , madre di Renato Biagetti nel suo incontro con il sindaco Veltroni. Ma la risposta in chiaro stile ricattatorio del sindaco fu che per una sorta di par condicio tra fascismo e antifascismo, alla chiusura dei covi di destra avrebbe dovuto seguire anche la chiusura dei tanti centri sociali romani antifascisti. Ora, che Foro753 è definitivamente transitato nel network Lealtà&Azione, che fa capo alla scena “hammerskin” milanese, quella dei saluti romani alle tombe dei repubblichini nel cimitero Monumentale, come la mettiamo?
Evidentemente, ben poco caro Veltroni, non ha, e non aveva, consapevolezza che certi nodi, prima o poi, vengono al pettine, specie in un quadro sociale che, sempre lei, con la sua creatura PD, avete contribuito a costruire in Italia, attraverso la frammentazione del welfare, la lacerazione del tessuto sociale, il sostegno alla segregazione per gli stranieri. E lasciare che contenuti, pratiche neofasciste si diffondessero e le organizzazioni dell’estrema destra agissero indisturbate, quando non coccolate e sostenute, sono proprio quei nodi. Non si meravigli se in capo a un decennio una dimensione che poteva essere facilmente messa all’angolo è divenuta un sentire comune a molti cittadini.
Per anni il centrosinistra, da Violante a Bertinotti, da lei al suo omologo sceriffo Zanonato, ha girato la testa dall’altra parte, più o meno consapevolmente, di fronte all’allarme lanciato da chi non viveva nel cielo della politica, ma immerso nelle lotte sociali che rivendicavano il diritto a città più aperte e solidali. Vedere oggi intellettuali e giornalisti, amministratori e politici, fare prima la fila per interloquire con quella che pensano sia la novità politica del momento, per poi scoprire che è la stessa merda dal 1922, ci fa salire agli occhi la stessa rabbia di quando, dopo l’omicidio di Renato, chiedevamo, inascoltati, una netta presa di posizione di fronte al montare della cultura neofascista.
L’ascesa del pericolo nero era, ed è tutt’ora, più che resistibile. Tuttavia, richiede ben più coraggio di quello dimostrato da lei, ben poco caro Veltroni, nei suoi anni come sindaco e nell’operato del Partito Democratico in quest’ultimo decennio.
Le compagne e i compagni di Renato – Madri per Roma città aperta