Si può parlare di “prigionieri e non di arrestati” dicono i vertici della polizia torinese. “Un gruppo di dissidenti infami e delinquenti” dice il ministro degli interni. “Ci vuole un po’ di scuola Diaz” dice un altro esponente di un partito che deve restituire allo Stato 49 milioni di euro.
Non ci stupisce che, ancora una volta, si sia deciso di affrontare le questioni sociali riducendole ad un problema di ordine pubblico. Non ci stupisce che la politica rispolveri toni giustizialisti e punitivi, salvo poi appellarsi al garantismo nelle occasioni in cui conviene. Non ci stupisce che l’ennesimo spazio di aggregazione, un luogo di socialità dove si tenta di dare risposte alla mancanza dei servizi pubblici, venga sgomberato lasciando un vuoto che nessuna colata di cemento potrà riempire.
La retorica dei sovversivi dell’ordine democratico mira a ridurre le persone al silenzio, inermi, recluse in casa per paura del diverso, dello straniero, dell’immigrato spacciatore ladro e stupratore. Ieri i neri e i clandestini, oggi gli antifascisti, gli anarchici. In perfetta continuità con il passato, le risposte ai bisogni dettati dal disagio abitativo, dalla disoccupazione, dalla povertà, sono le cariche e i manganelli.